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VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano 2012
Incontro con la cittadinanza
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI
Piazza Duomo, Milano 1 giugno 2012
Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così
numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio e la
televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor
Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome
della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente
della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti
delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la
collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita. E grazie a lei,
Eminenza, per il cordiale saluto!
Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e
ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città.
Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore
di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua
selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio
verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di
rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum
– di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente
l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni
contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora
oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di
sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va, ancora una
volta, al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per
l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità
diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa
gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale
Carlo Maria Martini.
Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle
famiglie - provenienti da tutto il mondo - che partecipano al VII Incontro
Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto
e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in
difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di
una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a
nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e
costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la
Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente
alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e
per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia,
per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel
nostro cuore e nelle nostre preghiere e per le quali invito, ancora una volta,
ad una generosa solidarietà.
Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la
gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti
e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al
Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia
romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la
Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la
presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il
magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota
dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi 40,
30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della
fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa
universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai
cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa
ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie
dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa
una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.
Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di
comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e
dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano
in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto
san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di
Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso
ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia,
tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni
rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità
pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una
esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero
ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con
la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo
Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento
sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale
della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se
stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano
che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si
deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello
Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini,
Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad
esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati
inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro
tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa
Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e
civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e
della carità.
Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura
e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la
cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di
Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso
passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per
trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa
tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto
culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per
noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita,
personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da
consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che
va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di
una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano
non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario,
conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua
storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame
intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara
distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la
Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.
Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra
accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta
guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città.
A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono
la mia affettuosa Benedizione. Grazie!
Concerto in onore del Santo Padre e
delle delegazioni ufficiali
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI
Teatro Alla Scala, Milano 1 giugno 2012
In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare
un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per
dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della
guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito
in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare
se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era
perfetta esclamò: «È la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «È la
Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di
riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per
tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue
glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la
ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita
dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore
essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un
momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano
Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto
questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i
quattro Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente
interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La
gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma
fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di
attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.
Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il
linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo
già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si
conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla
quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni,
intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso,
«voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia.
È una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica:
«la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo
paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana
quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei
popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino
dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di
là di ogni barriera e convinzione.
Su questo concerto, che doveva essere una festa
gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte
le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza
su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia
di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo
affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto
paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è
costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che
sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il
buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a
noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra
vita e nella nostra sofferenza.
In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non
questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non
questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di
una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una
fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad
andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica –
al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che
soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di
condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò
ci sentiamo chiamati da questo concerto.
Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al
Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo
evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della
Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica
che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della
pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché
è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non
sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in
famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al
centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad
accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo.
E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo
vissuto assieme. Grazie di cuore!
Omelia del Santo Padre Benedetto XVI
Duomo di Milano, 2 giugno 2012
Cari Fratelli e Sorelle!
Ci siamo raccolti in preghiera, rispondendo
all’invito dell’Inno ambrosiano dell’Ora Terza: «È l’ora terza. Gesù Signore
sale ingiuriato la croce». È un chiaro riferimento all’amorosa obbedienza di
Gesù alla volontà del Padre. Il mistero pasquale ha dato principio a un tempo
nuovo: la morte e risurrezione di Cristo ricrea l’innocenza nell’umanità e vi
fa scaturire la gioia. Prosegue, infatti, l’inno: «Di qui inizia l’epoca della
salvezza di Cristo - Hinc iam beata tempora coepere Christi gratia».
Ci siamo radunati nella Basilica Cattedrale, in questo Duomo, che è veramente
il cuore di Milano. Da qui il pensiero si estende alla vastissima Arcidiocesi
ambrosiana, che nei secoli ed anche in tempi recenti ha dato alla Chiesa uomini
insigni nella santità della vita e nel ministero, come sant’Ambrogio e san
Carlo, e alcuni Pontefici di non comune statura, come Pio XI e il Servo di Dio
Paolo VI, e i Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso
Schuster.
Sono molto lieto di sostare un poco con voi!
Rivolgo un affettuoso pensiero di saluto a tutti e a ciascuno in particolare, e
vorrei farlo arrivare in modo speciale a quelli che sono malati o molto
anziani. Saluto con viva cordialità il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo
Scola, e lo ringrazio per le sue amabili parole; saluto con affetto i vostri
Pastori emeriti, i Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, con gli
altri Cardinali e Vescovi presenti.
In questo momento viviamo il mistero della
Chiesa nella sua espressione più alta, quella della preghiera liturgica. Le
nostre labbra, i nostri cuori e le nostre menti, nella preghiera ecclesiale, si
fanno interpreti delle necessità e degli aneliti dell’intera umanità. Con le
parole del Salmo 118 abbiamo supplicato il Signore a nome di tutti gli uomini:
«Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti… Venga a me, Signore, la tua
grazia». La preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore costituisce un
compito essenziale del ministero ordinato nella Chiesa. Anche attraverso
l’Ufficio divino, che prolunga nella giornata il mistero centrale
dell’Eucaristia, i presbiteri sono in modo particolare uniti al Signore Gesù,
vivo e operante nel tempo. Il Sacerdozio: quale dono prezioso! Voi cari
Seminaristi che vi preparate a riceverlo imparate a gustarlo fin da ora e
vivete con impegno il tempo prezioso nel Seminario! L’Arcivescovo Montini,
durante le Ordinazioni del 1958 così diceva proprio in questo Duomo: «Comincia
la vita sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo… fonte di perpetua
meditazione…sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; [il Sacerdozio] - disse
- è sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero… è
riconoscimento dell’opera di Dio in noi» (Omelia per l’Ordinazione di 46
Sacerdoti, 21 giugno 1958).
Se Cristo, per edificare la sua Chiesa, si
consegna nelle mani del sacerdote, questi a sua volta si deve affidare a Lui
senza riserva: l’amore per il Signore Gesù è l’anima e la ragione del ministero
sacerdotale, come fu premessa perché Egli assegnasse a Pietro la missione di
pascere il proprio gregge: «Simone…, mi ami più di costoro?… Pasci i miei
agnelli (Gv 21,15)». Il Concilio Vaticano II ha ricordato che Cristo
«rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per
raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a Lui nella scoperta della volontà
del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il
Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità pastorale troveranno il
vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e
attività» (Decr. Presbyterorum Ordinis, 14). Proprio su questa
questione si è espresso: nelle occupazioni diverse, da ora ad ora, come trovare
l’unità della vita, l’unità dell’essere sacerdote proprio da questa fonte
dell’amicizia profonda con Gesù, dell’interiore essere insieme con Lui. E non
c’è opposizione tra il bene della persona del sacerdote e la sua missione;
anzi, la carità pastorale è elemento unificante di vita che parte da un
rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera per vivere il dono totale
di se stessi per il gregge, in modo che il Popolo di Dio cresca nella comunione
con Dio e sia manifestazione della comunione della Santissima Trinità. Ogni
nostra azione, infatti, ha come scopo condurre i fedeli all’unione con il
Signore e a fare così crescere la comunione ecclesiale per la salvezza del
mondo. Le tre cose: unione personale con Dio, bene della Chiesa, bene
dell’umanità nella sua totalità, non sono cose distinte od opposte, ma una
sinfonia della fede vissuta.
Segno luminoso di questa carità pastorale e di
un cuore indiviso sono il celibato sacerdotale e la verginità consacrata.
Abbiamo cantato nell’Inno di sant’Ambrogio: «Se in te nasce il Figlio di Dio,
conservi la vita incolpevole». «Accogliere Cristo - Christum suscipere»
è un motivo che torna spesso nella predicazione del Santo Vescovo di Milano;
cito un passo del suo Commento a san Luca: «Chi accoglie Cristo nell’intimo
della sua casa viene saziato delle gioie più grandi» (Expos. Evangelii sec.
Lucam, V, 16). Il Signore Gesù è stato la sua grande attrattiva,
l’argomento principale della sua riflessione e predicazione, e soprattutto il
termine di un amore vivo e confidente. Senza dubbio, l’amore per Gesù vale per
tutti i cristiani, ma acquista un significato singolare per il sacerdote celibe
e per chi ha risposto alla vocazione alla vita consacrata: solo e sempre in
Cristo si trova la sorgente e il modello per ripetere quotidianamente il «sì»
alla volontà di Dio. «Con quali legami Cristo è trattenuto?» – si chiedeva
sant’Ambrogio, che con intensità sorprendente predicò e coltivò la verginità
nella Chiesa, promuovendo anche la dignità della donna. Al quesito citato
rispondeva: «Non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con
l’affetto dell’anima» (De virginitate, 13, 77). E proprio in un
celebre sermone alle vergini egli disse: «Cristo è tutto per noi: se desideri
risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura delle
febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se
hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se
desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in
cerca di cibo, egli è nutrimento» (Ibid., 16, 99).
Cari Fratelli e Sorelle consacrati, vi
ringrazio per la vostra testimonianza e vi incoraggio: guardate al futuro con
fiducia, contando sulla fedeltà di Dio, che non mancherà mai, e la potenza
della sua grazia, capace di operare sempre nuove meraviglie, anche in noi e con
noi. Le antifone della salmodia di questo sabato ci hanno condotto a
contemplare il mistero della Vergine Maria. In essa possiamo, infatti,
riconoscere il «genere di vita verginale e povera che Cristo Signore si scelse
per sé e che la Vergine Madre sua abbracciò» (Lumen gentium, 46), una
vita in piena obbedienza alla volontà di Dio.
Ancora l’Inno ci ha richiamato le parole di
Gesù sulla croce: «Dalla gloria del suo patibolo, Gesù parla alla Vergine:
“Ecco tuo figlio, o donna”; “Giovanni, ecco tua madre”». Maria, Madre di
Cristo, estende e prolunga anche in noi la sua divina maternità, affinché il
ministero della Parola e dei Sacramenti, la vita di contemplazione e l’attività
apostolica nelle molteplici forme perseverino, senza stanchezza e con coraggio,
a servizio di Dio e a edificazione della sua Chiesa.
In questo momento, mi è caro rendere grazie a
Dio per le schiere di sacerdoti ambrosiani, di religiosi e religiose che hanno
speso le loro energie al servizio del Vangelo, giungendo talvolta fino al
supremo sacrificio della vita. Alcuni di essi sono stati proposti al culto e
all’imitazione dei fedeli anche in tempi recenti: i Beati sacerdoti Luigi
Talamoni, Luigi Biraghi, Luigi Monza, Carlo Gnocchi, Serafino Morazzone; i
Beati religiosi Giovanni Mazzucconi, Luigi Monti e Clemente Vismara, e le
religiose Maria Anna Sala ed Enrichetta Alfieri. Per la loro comune
intercessione chiediamo fiduciosi al Datore di ogni dono di rendere sempre
fecondo il ministero dei sacerdoti, di rafforzare la testimonianza delle
persone consacrate, per mostrare al mondo la bellezza della donazione a Cristo
e alla Chiesa, e di rinnovare le famiglie cristiane secondo il disegno di Dio,
perché siano luoghi di grazia e di santità, terreno fertile per le vocazioni al
sacerdozio e alla vita consacrata. Amen.
Grazie.
Incontro con i cresimandi
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI
Stadio di San Siro, Milano 2 giugno 2012
È una grande gioia per me potervi incontrare durante
la mia visita alla vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i
protagonisti siete voi! Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola,
e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele
Marelli. Saluto il vostro amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il
benvenuto. Sono lieto di salutare i Vicari episcopali che, a nome
dell’Arcivescovo, vi hanno amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie
particolare alla Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo
incontro, ai vostri sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini
e alle madrine, e a quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti
vostri compagni di viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e
risorto, e vivo.
Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il
Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete
compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello
Spirito». Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a
riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra
vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete
scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta
d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri
genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si
sono impegnati a educarvi nella fede. Questa è stata per voi – come anche per
me, tanto tempo fa! – una grazia immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e
dallo Spirito Santo, siete entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio,
siete diventati cristiani, membri della Chiesa.
Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il
vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. Il sacramento della
Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito
Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere
i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare
testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. I doni dello Spirito sono realtà
stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e
di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei
quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù:
o
il primo dono è la
sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come
dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva
Gesù, «sale della terra»;
o
poi il dono dell’intelletto,
così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della
fede;
o
quindi il dono del
consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra
vita, vita di ognuno di voi;
o
il dono della
fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche
quando costa sacrificio;
o
viene poi il dono della
scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all’Università, ma
scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le
impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad
animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità
e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello
difficile;
o
un altro dono è quello
della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro
Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza
di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia
vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo
progetto;
o
il settimo e ultimo dono
è il timore di Dio - abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio
non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della
volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso
la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le
crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti
questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo
vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la
verità, di fare la volontà di Dio.
Cari ragazzi e ragazze, tutta la vita cristiana è un
cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte - quindi non è
sempre facile, ma salire su un monte è una cosa bellissima - in compagnia di
Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più
vera e più stretta. Essa si alimenta continuamente con il sacramento
dell’Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo
vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale,
quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola
di Dio e prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al
Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è un’incontro con Gesù che
perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene; ricevere il dono,
ricominciare di nuovo è un grande dono nella vita, sapere che sono libero, che
posso ricominciare, che tutto è perdonato. Non manchi poi la vostra preghiera
personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui,
ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro
cammino.
Cari amici, voi siete fortunati perché nelle vostre
parrocchie ci sono gli oratori, un grande dono della Diocesi di Milano.
L’oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta
insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano
attività di servizio e di altro genere, si impara a vivere, direi. Siate
frequentatori assidui del vostro oratorio, per maturare sempre più nella
conoscenza e nella sequela del Signore! Questi sette doni dello Spirito Santo
crescono proprio in questa comunità dove si esercita la vita nella verità, con
Dio. In famiglia, siate obbedienti ai genitori, ascoltate le indicazioni che vi
danno, per crescere come Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli
uomini» (Lc 2,51-52). Infine, non siate pigri, ma ragazzi e giovani
impegnati, in particolare nello studio, in vista della vita futura: è il vostro
dovere quotidiano e una grande opportunità che avete per crescere e per
preparare il futuro. Siate disponibili e generosi verso gli altri, vincendo la
tentazione di mettere al centro voi stessi, perché l’egoismo è nemico della
vera gioia. Se gustate adesso la bellezza di far parte della comunità di Gesù,
potrete anche voi dare il vostro contributo per farla crescere e saprete
invitare gli altri a farne parte. Permettetemi anche di dirvi che il Signore
ogni giorno, anche oggi, qui, vi chiama a cose grandi. Siate aperti a quello
che vi suggerisce e se vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio o della
vita consacrata, non ditegli di no! Sarebbe una pigrizia sbagliata! Gesù vi
riempirà il cuore per tutta la vita!
Cari ragazzi, care ragazze, vi dico con forza: tendete
ad alti ideali: tutti possono arrivare ad una alta misura, non solo alcuni!
Siate santi! Ma è possibile essere santi alla vostra età? Vi rispondo:
certamente! Lo dice anche sant’Ambrogio, grande Santo della vostra Città, in
una sua opera, dove scrive: «Ogni età è matura per Cristo» (De virginitate,
40). E soprattutto lo dimostra la testimonianza di tanti Santi vostri coetanei,
come Domenico Savio, o Maria Goretti. La santità è la via normale del
cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti. Naturalmente,
con la luce e la forza dello Spirito Santo, che non ci mancherà se estendiamo
le nostre mani e apriamo il nostro cuore! E con la guida di nostra Madre. Chi è
nostra Madre? È la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima
di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza
del vostro «sì» a Gesù, suo Figlio, il grande e fedele Amico della vostra vita.
Così sia!
Veglia di preghiera
Intervento del Santo Padre Benedetto XVI
Parco di Bresso, 2 giugno 2012
1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):
Ciao, Papa.
Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam. Ho sette anni e ti voglio presentare la mia
famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio
fratellino Binh.
Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia
e di quando eri piccolo come me…
SANTO PADRE:
Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come
sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche
cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la
domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le
letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania,
dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già
nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono
di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart,
Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il
cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E
poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle
composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il
papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi,
naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un
bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi
eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze
comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima
della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di
noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare
e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante:
che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore
dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo,
perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli.
E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi
sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in
questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in
Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso
spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».
2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di
fidanzati dal Madagascar):
SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.
Ci siamo
conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo
fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro
Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra
professione.
FARA: I modelli
famigliari che dominano l'Occidente non ci convincono, ma siamo consci che
anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo
superati. Ci sentiamo fatti l'uno per l'altro; per questo vogliamo sposarci e
costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita
sia orientato dai valori del Vangelo.
Ma parlando di matrimonio, Santità, c’è una parola che
più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»...
SANTO PADRE:
Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in
questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del
Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di
matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il
matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino
all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso:
spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si
cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le
proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan,
sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri
paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola,
era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione
dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato
sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento,
diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo
convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé
garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche
la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si
vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il
sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio
dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni,
esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma
deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono
entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e
volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma
«Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore
coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del
fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente
tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la
forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze
di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla
fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare.
Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore
del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io
non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della
parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la
comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è
molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli
amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per
sempre. Auguri a voi!
3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)
NIKOS: Kalispera!
Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia
moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.
Anni fa con
altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola
società di informatica.
Al
sopravvenire dell'attuale durissima crisi economica, i clienti sono
drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti.
Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci
rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa
resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di
altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di nessuno,
manca la speranza.
PANIA: Anche noi,
pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un
futuro per i nostri figli. Ci sono
giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non
perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste
persone e famiglie senza più prospettive?
SANTO PADRE:
Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il
cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti.
Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo
incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra
che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non
promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé,
ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è
sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi,
naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità
di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire:
cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli
altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono
necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è
la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città,
tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa,
adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e
molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una
famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la
responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le
città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E
siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo
dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare
soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre!
Grazie.
4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)
JAY: Viviamo
vicino a New York. Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il
contabile. Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno. E questi sono i
nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare,
Santità, che la nostra vita è fatta di perenni corse contro il tempo, di
affanni, di incastri molto complicati...
Anche da noi,
negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro,
e per farlo non bisogna badare agli orari, e spesso a rimetterci sono proprio
le relazioni famigliari.
ANNA: Certo non
sempre è facile... L’impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese
non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia.
Santità,
immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni
con il riposo. Ha qualche consiglio
per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti
stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere
la festa secondo il cuore di Dio?
SANTO PADRE:
Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la
priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E
come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche
consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra
per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere
un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza
l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i
datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché
le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si
debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile.
Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di
attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia,
e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche
prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella
grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una
riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa:
spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto
importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche
“giorno dell’uomo”, perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della
Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano
liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per
Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e
le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.
5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto
Alegre)
MARIA MARTA: Santità, come
nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali
continuano ad aumentare. Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo
sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta
familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più
marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi
abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione,
qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.
MANOEL ANGELO: Alcune di
queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si
vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi,
marchiati da un giudizio inappellabile. Queste grandi sofferenze feriscono nel
profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e
sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.
Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che
queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di
speranza possiamo dare loro?
SANTO PADRE:
Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie,
molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone
sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle
grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La
sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare
queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che
molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin
dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre,
l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai
sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste
persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse
devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una
parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché
esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non
possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così
vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella
Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida
dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati,
guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e
partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche
senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente
uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente
trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la
comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la
Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità
dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un
tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa
per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se
realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo,
che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il
vostro impegno.
Saluto ai terremotati
Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente
il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno
che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per
aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il
possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa,
lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia
spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia
materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti!
Auguri a voi, il Signore vi benedica!
Santa Messa
Omelia del Santo Padre Benedetto XVI
Parco di Bresso, 3 giugno 2012
È un grande momento di gioia e di comunione quello che
viviamo questa mattina, celebrando il Sacrificio eucaristico. Una grande
assemblea, riunita con il Successore di Pietro, formata da fedeli provenienti
da molte nazioni. Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e
universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione, che, come abbiamo
ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi Apostoli: andare e fare
discepoli tutti i popoli, «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19). Saluto con affetto e riconoscenza il
Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale Ennio Antonelli,
Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, principali artefici di
questo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure i loro Collaboratori, i
Vescovi Ausiliari di Milano e tutti gli altri Presuli. Sono lieto di salutare
tutte le Autorità presenti. E il mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a
voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!
Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha
ricordato che nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, il quale ci
unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al Padre come figli, così che
possiamo gridare: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15.17). In quel momento ci è
stato donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere fino al compimento
definitivo nella gloria celeste; siamo diventati membri della Chiesa, la famiglia
di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, «popolo
che – come insegna il Concilio Vaticano II – deriva la sua unità dall’unità del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Cost. Lumen gentium, 4). La
solennità liturgica della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, ci invita a
contemplare questo mistero, ma ci spinge anche all’impegno di vivere la
comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati ad
accogliere e trasmettere concordi le verità della fede; a vivere l’amore
reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere
e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei
Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità
ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza
della Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma direi per
«irradiazione», con la forza dell’amore vissuto.
Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre
Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra
l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a
immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse
loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28). Dio ha creato
l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e
complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si
valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita.
L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità,
immagine di Dio. Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche
cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo
innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno
dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. È fecondo poi nella
procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi
e nell’educazione attenta e sapiente. È fecondo infine per la società, perché
il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali,
come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la
solidarietà, la cooperazione. Cari sposi, abbiate cura dei vostri figli e, in
un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le
ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e
sostenendoli nella fragilità. Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un
rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i vostri genitori, e
anche le relazioni tra fratelli e sorelle siano opportunità per crescere
nell’amore.
Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua
pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi,
con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo
amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e
totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il
vostro «sì», con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la
vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di
Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine
Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come
essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente
oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può
veramente trasformare il cosmo, il mondo. Davanti a voi avete la testimonianza
di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un
costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il
dialogo, rispettare il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere
pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere perdono, superare con
intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordare gli orientamenti
educativi, essere aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili
nella società civile. Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia.
Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della
grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo
vivo, una vera Chiesa domestica (cfr Esort. ap. Familiaris consortio,
49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli
insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose
di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella
vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre
auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e
vicinanza.
Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana
la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo
progetto (cfr 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della Sacra Scrittura,
possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per
trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e
la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono
compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne
teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro,
della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza
mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del
massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene
della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé
concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai
consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad
estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze
precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.
Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine di Dio,
è chiamato anche al riposo e alla festa. Il racconto della creazione si
conclude con queste parole: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il
lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva
fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gen 2,2-3). Per
noi cristiani, il giorno di festa è la Domenica, giorno del Signore, Pasqua settimanale.
È il giorno della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno alla mensa
della Parola e del Sacrificio Eucaristico, come stiamo facendo noi oggi, per
nutrirci di Lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore. È il giorno
dell’uomo e dei suoi valori: convivialità, amicizia, solidarietà, cultura,
contatto con la natura, gioco, sport. È il giorno della famiglia, nel quale
vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche
nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati
della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! È come l’oasi
in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra
sete di Dio.
Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni
della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i
tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e
la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal
volto umano. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a
quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere.
Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico,
quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in
un ‘Noi’, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino
a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» (Enc. Deus caritas est, 18).
Amen.
|
Italia.. presenta il suo libro.. |
Dear Colleague,
Further to our last Email, there is still time to register for the 20th and 21st Advanced Military Course on LOAC. These 2 courses running in parallel are conducted in English and French with interaction between the two courses during the week and 1 full day of joint translated lectures from guest speakers including eminent IHL academics: Professor Yoram Dinstein and Professor Francois Hampson.
The final programme for both courses is being finalised and will be up-loaded in the next few days.
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These courses provide a practical and contemporaneous consideration, at an advanced level, of IHL issues with a particular focus on those impacting on interoperability in multinational operations.
Course Approach
Each course is broken into three phases:
Phase 1 : Review of the current issues defining the IHL paradigm;
Phase 2: Consideration of Current IHL Issues during Military Operations;
Phase 3: Examination of transitional Military Operations and the increasingly complex and sophisticated legal framework applicable to operations conducted in that context.
Why attend this course?
Our Advanced Course has recently been revised by our Teaching Advisory Group of Military lawyers, operators and academics to ensure it is fully up-to-date and relevant to today’s Operational Law Legal Advisor. The Teaching Staff and Facilitators are drawn from experienced senior military legal officers, leading academics practising in the field and experts from international organisations. Topics will be covered using a seminar-based approach to maximise the participant’s ability to find outcome-oriented solutions through the application of the relevant IHL provisions. The wide range of national and cultural experiences of the participants attending will ensure a superior understanding of the multinational challenge.
Who should attend?
This two-week long Course is a must for experienced military and civilian legal advisers and military officers and government officials with a need for an in-depth knowledge of IHL. Academics and students with an interest in developing a deeper understanding of the subject area are also welcome to attend.
Given the Advanced level of the course it is assumed that participants will already have a sound knowledge of IHL principles and rules and be able to apply these in a practical context.
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We look forward to welcoming you to Sanremo in October.
Col. James JOHNSTON
Director, IIHL Military Department
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sujet: URGENT – L’inscription pour les 20ème et 21ème Cours Avancé sur le Droit des Conflits Armés du 1 au 5 octobre 2012 est toujours ouverte. Les Professeurs Yoram Dinstein et Francois Hampson font maintenant partie de la liste des orateurs confirmés.
Cher Collègue,
Suite au mail infra, les 20ème et 21ème Cours Avancé sur le Droit des Conflits Armés sont toujours ouverts pour inscription. Ces deux cours, organisés en parallèle, sont conduits en Anglais et en Français et des interactions entre les deux auront lieu pendant la semaine. Une journée complete sera organisée en commun à l’occasion des interventions des éminents professeurs Yoram Dinstein et Francois Hampson.
Le programme définitif pour les deux cours est en cours de finalisation et sera mis en ligne dans les prochains jours.
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Chaque cours est séparé en trois phases:
Phase 1: Rappel des questions actuelles quant au paradigm qu’est le DIH
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Col. James JOHNSTON
Directeur, Départment Militaire